In Europa, il settore dell’industria alimentare è il primo per fatturato e per occupazione. La distribuzione dei prodotti contraffatti avviene, in genere, attraverso due canali differenti: il clandestino ed il commerciale normale. Il circuito clandestino avviene al di fuori del mercato regolare, ad esempio per strada, nei mercati pubblici, per corrispondenza, su internet. La globalizzazione del fenomeno ha portato al coinvolgimento sia di paesi ricchi che poveri con la proposta dei medesimi prodotti contraffatti. L’altro canale di distribuzione è il circuito commerciale “normale” dei prodotti originali, nel quale vengono maggiormente diffusi prodotti di uso comune e quelli falsi sono posti accanto agli originali. È in questo circuito che, purtroppo, si trovano più facilmente alimenti contraffatti con gravi i rischi di inganno dei consumatori che, al momento dell’acquisto, si fidano della regolarità dei prodotti provenienti da canali ufficiali di vendita. Vengono così offerti all’estero, sia nei negozi che nei ristoranti, prodotti agroalimentari con marchi o segni distintivi della proprietà industriale contraffatti e soprattutto falsamente italian sounding.

IL FENOMENO IN CIFRE

La  pirateria agroalimentare internazionale utilizza, sempre di più, denominazioni geografiche, marchi, parole, immagini, slogan e ricette che si richiamano all’Italia per pubblicizzare e commercializzare prodotti che non hanno nulla a che fare con i nostri prodotti.È valutato che, a livello mondiale, il giro d’affari del “falso” Made in Italy è di 60 miliardi di euro l’anno, da stime recenti solo l’Italian Sounding è di 54 miliardi e 6 miliardi sono di vera contraffazione. Si tratta di un vero e proprio inganno globale per consumatori che per il nostro paese è causa di enormi danni economici e di immagine alla produzione e all’esportazione italiana di prodotti agroalimentari. Nel    2009,   in  Italia,  si  sono importate materie prime con un marchio “Made in   (paese   di   provenienza)  per   un   valore   di   circa 27 miliardi   di   euro,   altre sono state   trasformate   sottoponendole ad   almeno   un   processo   dell’industria   alimentare,   dopo il quale,la   normativa   vigente   consente   di   etichettare   quel   prodotto   con   il marchio Made in Italy.

Circa il 33% della produzione complessiva dei prodotti agroalimentari venduti in Italia ed esportati, cioè 51 miliardi di euro di fatturato, derivano da materie prime importate, trasformate e vendute con il marchio Made in Italy, mentre in realtà esse possono provenire da qualsiasi parte del mondo.

Di queste   materie   prime   importate, solo una parte sono classificate come importazioni temporanee perché, dopo avere subito qualche trasformazione in Italia, vengono rivenduti sul mercato estero. Sono perciò merci che, provenienti da uno Stato estero, vengono introdotte temporaneamente nel territorio nazionale e qui sono sottoposti a lavorazione e trasformazione. Questo percorso consente a derrate alimentari, contenenti prodotti agricoli non italiani, di essere vendute all’estero con il marchio Made in Italy facendo sì che dei 27 miliardi di euro di importazioni, almeno 9 miliardi di euro sono stati utilizzati per importare prodotti alimentari esteri perciò non italiani, che però possono essere vendute all’estero fregiandosi del Made in Italy. Un fenomeno, purtroppo in crescita, per cui si stima che almeno un prodotto su tre del settore agroalimentare importato in Italia sia trasformato nel nostro Paese e poi venduto sul nostro mercato interno e all’estero con il marchio Made in Italy.

Nonostante i crescenti controlli, la contraffazione continua a fare “vittime” tra i prodotti italiani colpendo, in particolare il settore agroalimentare. Ogni anno l’agricoltura italiana perde circa 3 miliardi di euro sui mercati internazionali, a causa dell’aumento dell’agropirateria: dai prosciutti all’olio di oliva, dai formaggi ai vini, dai salumi agli ortofrutticoli. Un aumento continuo di “falsi” che provocanodanni rilevanti ai nostri prodotti tipici a denominazione come Dop, Igp e Stg, Doc, che qualificano il nostro made in Italy.

La maggior parte dei prodotti alimentari falsamente italian sounding pare provenire dalla Turchia (il 18% di cibi e bevande) e da Singapore (12%), seguono l’Ungheria (7%) e gli Stati Uniti (5%).
Diversa è la diffusione delle frodi alimentari consistenti in sofisticazioni alimentari, vale a dire falsificazioni o manipolazioni effettuate sull’alimento stesso, o in comportamenti decisivi per l’insalubrità
degli alimenti, le quali possono verifi carsi in negozi o ristoranti frequentati da ciascuno di noi.

I più colpiti sono prodotti di eccellenza come il Parmigiano Reggiano e   il  Grana   Padano,   a   cui   spetta   il   triste   primato   di   specialità   alimentarinostrane più falsificate e imitate nel mondo. In Brasile si trova il Parmesao, in Argentina il Regianito; Reggiano e Parmesano in tutto il Sudamerica,
o Parmesan dagli Stati Uniti al Canada, dall’Australia fino al Giappone.

Un’attività che danneggia in misura rilevante la nostra economia e riduce il nostro straordinario potenziale di esportazioni di prodotti originali. La contraffazione del Parmigiano Reggiano è uno dei casi più eclatanti di imitazione dei prodotti alimentari nazionali tipici sul mercato Usa. Purtroppo la contraffazione colpisce anche prodotti simbolo della dieta mediterranea come gli spaghetti, la pasta milanesa, le tagliatelle e i capellini milaneza prodotti in Portogallo, le linguine Ronzoni, il risotto tuscan e la polentadagli Usa, le penne e i fusilli tricolore Di Peppino prodotti in Austria. Anche i condimenti subiscono la contraffazione ad esempio i San Marzano, pomodori pelati grown domestically in the Usa o i pomodorini di collina cinesi e la salsa bolognese dall’Australia. Attribuendo ai propri prodotti i valori riconosciuti ed apprezzati dai consumatori stranieri del Made in Italy, le aziende estere ottengono, in modo illecito e improprio, un vantaggio competitivo rispetto alla concorrenza.

L’ORIGINE DEGLI ALIMENTI: ETICHETTE PIÙ TRASPARENTI DAL 2012

Nuovo regolamento europeo sull’etichettatura degli alimenti: “I cittadini europei potranno finalmente conoscere la provenienza di tutte le carni che consumano”

Martedì 22 novembre 2011, è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea il nuovo regolamento sull’etichettatura degli alimenti, che è entrato in vigore 20 giorni dopo la pubblicazione in GU: le nuove regole dovranno essere applicate entro 3 anni, ed entro 5 anni quelle sulle informazioni nutrizionali.

Il Regolamento 1169/2011 si applica agli operatori del settore alimentare in tutte le fasi della catena alimentare quando le loro attività riguardano la fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori. Si ap-
plica a tutti gli alimenti destinati al consumatore finale, compresi quelli forniti dalle collettività, e a quelli destinati alla fornitura delle collettività.

Rappresenta un aggiornamento molto importante, la nuova norma sostituisce la vecchia direttiva del 1979 ed estenderà l’obbligo di indicare la provenienza di tutte le carni fresche come le carni suine, il pollame, le
avicole e le ovicaprine, che in passato era obbligatoria solo per la carne bovina.
Dal 2012 finalmente i consumatori europei potranno essere più informati su quello che mangiano grazie all’obbligo, deciso dai 27 Stati membri dell’UE, di indicare il paese d’origine sull’etichetta di tutti i tipi di carne .

Dopo tre anni di contrasti, i 27 paesi membri dell’Unione Europea hanno trovato un accordo che estende l’obbligo a indicare in etichetta, come già da anni accade per la carne bovina, il Paese d’origine o il luogo di provenienza alle carni suine, ovine, caprine e avicole, sia fresche che refrigerate o congelate. Gli operatori avranno tre anni di tempo per uniformarsi allenuove regole, cinque anni per le norme relative all’informazione nutrizionale. Gli alimenti immessi sul mercato, o etichettati entro le suddette date,   potranno   essere   legalmente   commercializzati   sino   a   esaurimento scorte. Tra le novità è introdotto il criterio della trasparenza a tutela dei consumatori, anche se manca l’obbligo di etichettatura d’origine per tutti i prodotti agricoli freschi e trasformati mono ingredienti.

Diventa obbligatorio indicare l’origine o il luogo di provenienza quando sull’etichetta sono presenti elementi (parole, logo, disegni etc) che facciano pensare erroneamente ad un determinato luogo di origine o provenienza, ancor più nei casi in cui la mancata indicazio ne del luogo può confondere le idee sulla provenienza. Inoltre, quando in etichetta è dichiarata la nazione di origine o il luogo di provenienza, ma l’ingrediente primario (51%) non è di quel luogo, il produttore ha due possibilità: o dichiarare l’origine o la provenienza dell’ingrediente primario, o dichiarare che l’origine o la provenienza dell’ingrediente è differente da quella del prodotto.

Una normativa che garantisce perciò una maggiore trasparenza con informazioni sul prodotto alimentare che non devono indurre in errore il consumatore su ciò che sta acquistando. Entro due anni dalla sua entrata in vigore, Bruxelles dovrà esaminarese estendere l’obbligo dell’origine alla carne usata come ingrediente negli alimenti e, un anno dopo, dovrà decidere anche su latte, il latte nei prodotti   lattiero-caseari,   carni   diverse presenti   nelle   preparazioni,   alimenti non trasformati, quelli a monoingrediente e quelli dove gli ingredienti superano il 50% del prodotto finale. Una soluzione, quest’ultima, che sostiene l’estensione dell’indicazione del luogo di origine anche alle carni e al latte utilizzati in alimenti trasformati, come prosciutti, salami e formaggi.

Il Regolamento presenta altre importanti novità anche rispetto all’informazione fornita al consumatore che dovrà trovare sull’etichetta le fondamentali informazioni nutrizionali che saranno indicati in una tabella con sette elementi (valore energetico, grassi acidi grassi saturi, carboidrati, proteine, zuccheri e sale) riferiti a 100   g   o   100   ml   di   prodotto.   Accanto   si   potranno   inserire   anche i   dati   riferiti   ad   una   porzione.   Dovrà   essere   indicata   l’eventuale presenza   di   allergeni e, inoltre, vi   sarà   il   divieto   di   informazioni fuorvianti. Anche   le   dimensioni   delle   diciture   riportate   sull’etichetta dovranno essere non inferiori a 1,2 mm e a 0,9 mm per le confezioni più piccole.

I PRODOTTI PIENAMENTE TUTELATI DALL’EUROPA

l consumatore può difendersi dalla contraffazione con l’attenta lettura delle etichette, scegliendo i prodotti che conosce e che sono già tute-lati. L’indicazione del luogo di origine o provenienza sono dati che troviamo   ormai   da   anni   su  carne   bovina,   ortofrutticoli   freschi,   pesce, uova, miele, olio extravergine d’oliva e la passata di pomodoro. L’esplicita indicazione dell’origine della materia prima impiegata nei procedimenti di lavorazione aiuta a contrastare illeciti e contraffazioni a danno delle produzioni agroalimentari. L’origine delle materie prime è solo uno dei molti elementi considerati dall’Unione Europea in un progetto di ampia portata, che vuole uniformare le etichette, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari.

Grazie anche all’impegno delle associazioni dei consumatori, questo cambiamento potenzia la tutela di un diritto dei cittadini ad un’informazione rafforzata e protetta da una normativa che finalmente consente di conoscere il paese d’origine o il luogo di provenienza di una parte dei prodotti alimentari. Questo   importante   accordo   persegue   anche   un   obiettivo   più   ampio e   cioè   quello   di   rinnovare   tutto   il   sistema   dell’etichettatura   alimentare europea nel segno della chiarezza offrendo ai consumatori informazioni essenziali e chiare su tutte le caratteristiche dei prodotti che acquistano in modo sempre più consapevole.

 

A cura di Renata Frammartino

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