Al momento stai visualizzando I limiti di età sui social network

Ha fatto scalpore qualche settimana fa la tragica notizia della morte di una bambina di 10 anni che alcuni giornali hanno riportato come causata da una “challenge” su Tik Tok. Al di là della conferma o meno di questa circostanza, che gli inquirenti non hanno ancora fornito, ci ha stupito molto la reazione di molti commentatori e Autorità che si sono detti sorpresi e sconvolti del fatto che una bambina così piccola avesse accesso al social network senza supervisione.

A noi che da anni teniamo lezioni nelle scuole primarie e medie sull’uso consapevole di internet è sembrata invece la scoperta dell’acqua calda: da quando esistono i social, che mai sono stati ufficialmente di libero accesso ai minori di 13 anni, esistono milioni di utenti giovanissimi che, con una semplicissima bugia riguardo al loro anno di nascita, pubblicano contenuti, commentano, guardano video, interagiscono con altri utenti, a volte (ma non sempre) senza che i genitori ne siano informati.

Facciamo un po’ di chiarezza sui limiti di età sui social network: la quasi totalità dei social o delle app di messaggistica pone il limite minimo di età in 13 anni. Basta leggere le condizioni d’uso (che nessuno purtroppo fa, nemmeno gli adulti) per vederlo lì, scritto nero su bianco: questo perché il business dei social network si basa sul trattamento dei dati personali degli iscritti a fini di marketing e la legislazione a cui le condizioni d’uso fanno riferimento, ovvero per la magigor parte dei casi il Children’s Online Privacy Protection Act degli Stati Uniti, non permette la raccolta dei dati relativi a minori di 13 anni. Dall’entrata in vigore del Regolamento Europeo sul trattamento dei dati personali, il cosiddetto GDPR, anche all’interno dell’UE vige una regola simile: non è concesso trattare i dati dei un minore di 16 anni a meno che non ci sia il consenso dei genitore o del soggetto che esercita la potestà. Gli Stati membri possono abbassare questo limite purché non si scenda sotto i 13 anni, In Italia la soglia è stata fissata in 14 anni .

Quindi, in Italia dai 13 ai 14 anni ci si può iscrivere a un social con un proprio account solo con il consenso dei genitori, oltre i 14 anni anche da soli.

La realtà però è ben diversa: lo smartphone è uno dei regali più richiesti (e spesso ottenuti) dai bambini per la Prima Comunione, che si fa intorno ai 9 anni; in prima media, ovvero a 11 anni, sono davvero pochissimi i ragazzini che non hanno accesso ad uno smartphone, tablet o pc di uso personale. Lo stesso accade con le console di gioco, che anzi vengono spesso acquistate anche per bambini più piccoli: molti dei giochi più gettonati, da usare in modalità multiplayer, danno anche la possibilità di comunicare in chat con altri giocatori, anche perfetti sconosciuti.

La facilità di uso di questi strumenti spesso rassicura i genitori sull’opportunità di lasciare che i figli, i cosiddetti “nativi digitali” li utilizzino da soli: eppure, nessuno lascerebbe guidare in strada un’automobile a un dodicenne solo perché ha imparato ad accenderla e inserire le marce.

I rischi che si possono correre utilizzando i servizi del cosiddetto web 2.0, caratterizzato da una forte interazione tra utenti, sono molteplici: violazione della privacy, diffusione non consensuale di contenuti intimi o privati, molestie e stalking, messaggi di odio o discriminazione, truffe, furto di identità digitale, cyberbullismo, esposizione involontaria a contenuti violenti o sgradevoli, predatori sessuali, diffusione di disinformazione. Sono rischi che anche un over-14 può correre, ovviamente, ma che sono molto più impattanti e gravi se il bersaglio è un bambino di 9 o 12 anni o più giovane ancora, che ovviamente non ha da solo i necessari strumenti per riconoscerli e difendersi.

Quindi come possono affrontare questo problema i genitori? Secondo la nostra esperienza,derivante da anni di confronto con bambini e ragazzi dai 9 al 13 anni e con i loro insegnanti, la soluzione di “bannare” del tutto questa tecnologia della vita dei figli è una strategia poco efficace che non fa altro che spostare il problema di qualche anno: un bambino può avere tante occasioni di approcciarsi al mondo dei social network e delle chat quando non controllato, ad esempio a casa di un amico, e comunque, se non adeguatamente educato, allo scoccare dei fatidici 14 anni si troverebbe comunque “in pasto” al web, senza aver sviluppato alcun anticorpo.

In realtà , se utilizzati in maniera consapevole, anche i social e gli altri strumenti di comunicazione ospitano contenuti informativi e divulgativi molto interessanti e possono sviluppare la creatività e nuove sperimentali forme di espressione.

Le parole chiave, secondo noi, sono tre: vigilanza, educazione e condivisione. Vigilanza perché ormai la tecnologia offre la possibilità di visionare cosa fanno i figli in rete e soprattutto chi li avvicina: si possono installare parental control e filtri sui contenuti, disabilitare le chat dei videogiochi, conoscere i social pensati per i più piccoli come You Tibe Kids, Spotlite o PopJam .

Educazione, dei bambini/ragazzi ma anche degli adulti, sui rischi, la netiquette e la fruizione critica dei contenuti, che non può venire solo dall’esterno, dalla scuola o da appositi “corsi” o “lezioni”, ma deve essere parte dell’apprendimento quotidiano, anche a casa.

Condivisione, delle esperienze tra genitori e figli, affinché si rafforzi il rapporto di fiducia e il mondo di internet non sia considerato altro che un prolungamento del mondo fisico nel quale i bambini crescono insieme ai genitori e sono da questi guidati in un percorso progressivo di buone pratiche da seguire insieme.

E.A.

“Realizzato nell’ambito del Programma generale di intervento della Regione Emilia-Romagna con l’utilizzo dei fondi del Ministero dello sviluppo economico. Ripartizione 2018”
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